Oltre l’economia che conosciamo – Conversazioni con Massimiano Tellini – Chapter 4

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L’economia circolare non è un reparto, non è una certificazione, non è un’etichetta verde da apporre su un prodotto. È un cambiamento strutturale, sistemico e trasversale. Questo è il messaggio al centro della quarta puntata del podcast “Oltre l’economia che conosciamo” con Massimiano Tellini, che questa volta accompagna l’ascoltatore dentro le applicazioni concrete della transizione circolare nel mondo delle imprese – e oltre.

Dimentichiamoci l’idea di una “sostenibilità di facciata”. L’economia circolare, spiega Tellini, richiede un ripensamento radicale di ogni funzione aziendale: dalla leadership alle operations, dalla logistica ai processi d’acquisto, fino alla comunicazione. Nessuna parte dell’impresa può restare ferma. È una trasformazione culturale prima ancora che tecnologica.

Nel settore agroalimentare, per esempio, il packaging compostabile e le bioplastiche – come quelle sviluppate da Novamont – rappresentano un’alternativa concreta alle plastiche tradizionali. Ma l’innovazione corre anche in campo: le pratiche agricole rigenerative, che rifiutano la chimica intensiva, rigenerano il suolo e favoriscono la biodiversità. Nel settore chimico e dell’energia, si sperimentano filiere per il recupero di materiali preziosi dalle batterie esauste e per la produzione di biometano dai rifiuti organici, con un impatto positivo sulla decarbonizzazione.

Anche la moda si adegua: jeans che nascono da acque reflue rigenerate, capi compostabili e processi produttivi pensati per ridurre sprechi e aumentare la durata dei tessuti. Nell’edilizia, si progettano strutture modulari e adattabili, capaci di evolvere con i bisogni degli abitanti, mentre le auto a fine vita vengono rigenerate per una seconda vita, invece che rottamate.

Ma l’economia circolare non si ferma alla produzione. Entra anche nei contesti sociali. Un esempio su tutti è il social housing, dove la sostenibilità incontra l’inclusione: edifici condivisi che integrano servizi durevoli e accessibili – come lavanderie comuni – abbattendo sprechi e costi.

Uno dei punti più visionari affrontati da Tellini riguarda la rigenerazione urbana, che secondo le stime potrebbe generare centinaia di miliardi di euro in nuove entrate ogni anno in Europa. Ma non è solo una questione economica: rigenerare gli spazi urbani significa migliorare la salute pubblica, la qualità dell’aria, la vivibilità delle città. Significa mettere le persone – non il cemento – al centro dei processi.

In questo scenario, la tecnologia gioca un ruolo essenziale. Serve a tracciare l’origine dei materiali, a rendere trasparenti i cicli di vita dei prodotti, a progettare edifici intelligenti, pensati fin dall’inizio per essere smontati, riutilizzati, reinterpretati. Nascono così i “passaporti dei materiali”, che trasformano ogni edificio in una miniera urbana. Una banca dati di risorse a disposizione delle generazioni future.

L’economia circolare, a differenza di quella lineare, è labour-intensive: ha bisogno di manodopera, di nuove competenze, di figure professionali capaci di gestire materiali, processi e tecnologie. Questo significa anche creazione di posti di lavoro, sviluppo locale e maggiore resilienza economica. Ma attenzione: non esiste un solo modello circolare. Ogni territorio, ogni comunità, ogni azienda deve costruire il proprio percorso, adattando le soluzioni ai propri contesti.

E qui entra in gioco un tema fondamentale: la comunicazione. Secondo Tellini, è arrivato il momento di raccontare la transizione ecologica e circolare in modo efficace, comprensibile, coinvolgente. Perché senza una narrazione condivisa, senza storie capaci di ispirare e mobilitare, la trasformazione rischia di restare confinata a élite tecniche o ambienti di nicchia.

L’economia circolare non è solo una sfida tecnologica. È una questione culturale. E il primo passo è sempre lo stesso: cambiare il modo in cui pensiamo al valore, ai rifiuti, alla crescita. Non si tratta più di produrre di più. Si tratta di produrre meglio.

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