Se c’è un ambito in cui l’Italia può già vantare un primato europeo, è quello dell’economia circolare. A dirlo con forza è Massimiano Tellini, tra i protagonisti del podcast “Oltre l’economia che conosciamo”, giunto al suo terzo episodio. In questa puntata, l’attenzione si concentra sul ruolo strategico che il nostro Paese può giocare nella transizione da un’economia lineare a un modello rigenerativo, dove rifiuti, sprechi e consumo senza freni lasciano spazio a durabilità, riuso e redesign.
Non si tratta solo di buone pratiche ambientali. L’economia circolare, come spiega Tellini, è oggi una leva identitaria e competitiva. L’Italia è all’avanguardia soprattutto in una delle “R” fondamentali del paradigma circolare: il redesign, ovvero la capacità di concepire prodotti fin dalla loro progettazione in modo che siano riparabili, riutilizzabili, riciclabili. Una predisposizione culturale, prima ancora che industriale, che affonda le radici nella tradizione manifatturiera e artigiana del Paese. “È quasi un tratto genetico dell’Italia produttiva”, osserva Tellini. Non a caso, il sistema dei consorzi ha permesso al nostro Paese di raggiungere livelli d’eccellenza nel recupero degli scarti, trasformando ciò che per altri è rifiuto in nuova materia prima.
Ma l’economia circolare, oggi, è molto di più che una gestione efficiente dei rifiuti. È una trasformazione radicale del modello economico, che punta a progettare beni più longevi, più riparabili, più facilmente reinseribili nei cicli produttivi. Un processo che può dare vita a un nuovo “made in Italy”, fondato su sostenibilità, qualità e innovazione. È in questa direzione che guarda anche la “missione due” del PNRR, orientata a promuovere filiere produttive verdi e resilienti.
Il valore strategico di questo approccio non è sfuggito neanche alle istituzioni europee: due tra i più rilevanti report sul futuro dell’economia dell’Unione sono stati affidati a due italiani, Enrico Letta e Mario Draghi. Un segnale di come la visione italiana possa contribuire in maniera sostanziale alla ridefinizione delle regole economiche del continente.
Il dialogo si sposta poi sul terreno della finanza, che secondo Tellini non può più limitarsi a “misurare” la sostenibilità, ma deve diventarne partner attivo. Intesa Sanpaolo – istituto in cui Tellini stesso lavora – ha già erogato oltre 20 miliardi di euro a progetti “circolari”, confermandosi leader nazionale. Ma è il cambio di paradigma che colpisce: oggi la finanza si chiede cosa possa fare l’economia circolare per lei, non solo il contrario.
Insieme all’Università Bocconi, sono state individuate tre “R” che spiegano questo cambio di rotta: Ricavo, perché l’economia circolare apre nuovi mercati e modelli di business; Reputation, perché il posizionamento sostenibile migliora la percezione pubblica e il valore aziendale; Rischio, perché processi più efficienti e resilienti riducono l’esposizione a shock esterni. La finanza circolare, in sintesi, non è una nicchia, ma una strategia di medio-lungo periodo.
Anche il settore assicurativo inizia a beneficiare di questo approccio. I processi circolari producono dati più granulari e affidabili, e quindi facilitano valutazioni più stabili e predittive delle imprese. Ma resta aperta una sfida cruciale: come valutare davvero il valore generato da un’economia circolare?
I modelli di analisi attuali sono ancora figli di una logica lineare, dove il profitto è istantaneo e misurabile. Ma la circolarità genera valore nel tempo, in modo distribuito, spesso non immediatamente monetizzabile. Serve dunque un’evoluzione nelle metriche, da costruire in collaborazione con realtà pioniere come la Fondazione Ellen MacArthur, che da anni lavora per definire standard internazionali in questo ambito.
In un’epoca segnata da crisi ambientali, frammentazione geopolitica e instabilità economica, l’economia circolare si presenta non solo come un’opzione sostenibile, ma come un nuovo orizzonte industriale e culturale. E l’Italia, se saprà crederci, ha tutte le carte in regola per guidare questa rivoluzione.