Di Danilo Guenza
Genoni (SU) – A un’ora circa a nord di Cagliari, tra le colline aspre e i pascoli dell’altopiano della Giara, sorge l’agriturismo Cuaddus et Tellas, un nome antico che evoca storie di terra e resistenza. Qui vivono Peppino e Franca, custodi appassionati di un patrimonio vivente: il cavallino della Giara, una delle razze equine più rare e affascinanti d’Europa.
«È come un cavallo in miniatura», racconta Peppino, «non è un pony: è alto circa 1,30 al garrese, perfettamente proporzionato, un animale elegante, agile e fiero». Il cavallino vive libero sui 4.500 ettari dell’altopiano della Giara, in uno dei contesti naturali più suggestivi della Sardegna. Alcuni esemplari, però, scorrazzano anche nella tenuta di Peppino e Franca, che ne custodiscono una trentina, «per amore, per follia, per passione», come dicono loro. «Non potevamo privarcene, fanno parte della nostra famiglia».
La loro è una scelta controcorrente. Il cavallino sardo – che conta oggi circa 600-700 esemplari sull’altopiano e circa un migliaio in tutta l’isola – è infatti una razza tutelata, ma anche dimenticata dalle istituzioni. Esistono fondi per la salvaguardia della biodiversità, ma l’accesso è spesso ostacolato da burocrazia, costi eccessivi e normative scollegate dalla realtà locale. Per ottenere i contributi, occorre dimostrare l’altezza, la genealogia e persino il DNA degli esemplari. «Ma come si fa a farlo su cavalli selvatici?», si chiede Franca. «E poi arrivano funzionari da Roma o Modena a dirci cosa sia o non sia un cavallino della Giara…».
La frustrazione si mescola all’ironia, ma non scalfisce la determinazione di questi allevatori. Allevare cavallini qui è resistenza culturale, oltre che tutela ambientale. Ogni dettaglio dell’animale – dalla lunga coda per scacciare le mosche alla bassa statura per correre sotto le sugherete – è frutto di millenni di adattamento a un ecosistema unico. Anche il colore del mantello – quasi sempre scuro – rivela una selezione genetica naturale: «I cavalli sauri sono più delicati, ne abbiamo pochissimi».
Peppino e Franca allevano anche un’altra specie fuori mercato: la vacca sarda. Un animale piccolo, con poca resa commerciale ma un sapore unico. «Oggi si vendono le fettine, non la qualità. Ma la carne dei nostri vitelli bradi, nutriti con erbe spontanee, ha un gusto che non ha paragoni».
Tutelare la biodiversità, dunque, non è solo un atto ecologico ma anche gastronomico. È un rifiuto della standardizzazione, è cultura del gusto, è valorizzazione del territorio. E in un momento storico segnato dalla crisi climatica, questi allevamenti sono anche laboratori di resilienza.
«Una volta i laghetti della Giara – i paulis – duravano fino a novembre. Oggi si prosciugano già ad agosto», spiega Peppino. Le piogge sono diminuite drasticamente: dai 1200 mm degli anni Cinquanta si è passati a 200-300 mm attuali. La siccità non è più un’eccezione, è una condizione strutturale.
Eppure qui, tra sugherete battute dal maestrale e campi privi di diserbanti, la vita resiste. Cavallette senza ali, endemismi vegetali, insetti e animali che altrove scompaiono, qui prosperano. «Durante il Covid, noi non ci siamo nemmeno ammalati», sorride Franca. «Vivere in un luogo incontaminato protegge anche da ciò che viene da fuori».
L’agriturismo Cuaddus et Tellas è molto più di un’azienda agricola: è un presidio culturale, un argine contro l’omologazione, un esempio concreto di come si possa costruire futuro tutelando la memoria e l’ambiente.
Peppino e Franca, con il loro lavoro silenzioso e testardo, non allevano solo cavalli e vacche: custodiscono un pezzo di Sardegna autentica, quella che non si compra e non si vende, ma si eredita e si tramanda.